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giovedì 1 dicembre 2016

Il culto di Mithra

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Àgnostos theòs, il dio ignoto, il dio sconosciuto. O forse misconosciuto, nascosto, rimosso. Ogni epoca ne ha uno. Il suo volto si cela perché troppo prossimo a un altro, che lo eclissa e lo oscura, come l’altra faccia, non colpita dal sole, di un’erma bifronte. Finché la luce, lentamente, non gira.
Quando ad Atene scoprì l’ara del Dio Ignoto, san Paolo disse: «Quello che adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio» (Atti 17, 23). Rendeva omaggio alla lungimiranza degli ellèni, che avevano presentito il nuovo dio di cui portava il verbo; o forse all’insondabilità del divino, appunto al dio in ombra che cela il suo volto dietro quello del dio maggiore su cui un’epoca dirige il suo sguardo frontale.
Se è vero, come Hillman insegna e già Jung scrive, che gli dèi, oltreché archetipi, sono sintomi, individuare il dio ignoto di un’epoca è salutare per l’anima del mondo. È ciò che il mondo rimuove, prima di ciò che contempla, a definire i contorni sommersi del suo inconscio. Se oggi esiste un dio misconosciuto ai molti, questo è Mithra. Nel revival della storia delle religioni, nel proliferare di libri sui culti orientali o sul paganesimo grecoromano, da anni l’editoria italiana trascura il dio emerso dalla profonda Persia mazdèa, che a sua volta lo importava dall’India vedica.
L’ultimo saggio pubblicato in Italia, che chiarisce genesi e rapporti, è Il culto di Mitra di Julien Ries, uscito da Jaca Book ormai tre anni e mezzo fa, mentre non sono stati ancora tradotti capisaldi come quelli di Franz Cumont.
Ora però alcune uscite imminenti nel mondo anglosassone e germanico (R. Beck — O. Panagiotidou, The Roman Mithras Cult, Bloomsbury Academic; AA.VV., Images of Mithra, Oxford University Press; AA.VV., Entangled Worlds: Religious Confluences between East and West in the Roman Empire, Mohr Siebeck) spezzano il riserbo del mondo cattolico sul culto che gli studiosi tra fine Ottocento e metà Novecento hanno indicato come il più prossimo a quello di Cristo nonché, per almeno due secoli, il suo più diretto rivale.
Come ha scritto Ernest Renan, «se il cristianesimo fosse stato fermato nel suo sviluppo da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico». A lungo, tra i debiti del mistero cristiano verso i culti pagani, quello nei confronti di Mithra è stato considerato il più sorprendente. Le coincidenze sono innumerevoli. Il Natale di Mitra è celebrato il 25 dicembre, al solstizio d’inverno, come si addice a un dio della luce. Il dio nasce in una grotta ed è adorato dai pastori.
Per questo sono detti in latino spelaea, “grotte”, i mitrèi che ancora oggi traforano il sottosuolo delle città romane, coi loro due banchi per i fedeli lungo i lati maggiori, l’altare per il sacro banchetto, gli affreschi catechetici e la grande lastra marmorea coi rilievi misterici, in cui il giovane dio dal mantello svolazzante trapunto di sette stelle uccide con la spada il toro cosmico: è la tauroctonia, che come all’inizio dei tempi si riavrà alla loro fine, quando nell’ora del Secondo Avvento il sangue del toro nuovamente ucciso, mescolato a vino, verrà dato da bere ai giusti e donerà loro vita eterna.
Queste “speranze d’oltretomba”, come le chiamava Cumont, erano il segreto della forza del mitraismo, che prometteva non solo la sopravvivenza dell’anima, ma la resurrezione della carne. Non solo il Primo Giudizio, cui Mithra presiedeva al momento della morte del singolo, poteva farne accogliere l’anima, se meritevole, in paradiso, o altrimenti respingerla alle torture dell’inferno; ma il Giudizio Finale avrebbe risuscitato i morti dalle tombe e tutti avrebbero ripreso le loro sembianze e si sarebbero riconosciuti gli uni con gli altri.
Ma il più importante nucleo del mitraismo in occidente, importato nell’impero romano dalle legioni che i cesari mandavano a combattere e morire sul limes orientale, era l’idea di militia. Nessun culto pagano precedente la esibiva, anche perché nessuno quanto Mithra era stato il dio dei soldati e degli eserciti.
L’iniziato mitraico al terzo grado di ascesa astrale era miles (qualifica tecnica, dopo corvo e crisalide e prima di leone). Il mitraismo esaltava la condizione interiore di militanza, la sacralizzava, e d’altra parte assimilava esteriormente l’esercizio della religione al servizio militare: il nome di sacramentum non era diverso da quello del “giuramento” che come le reclute dell’esercito gli iniziati dovevano prestare per combattere, nel nome del dio invincibile le potenze del male.
Proviene secondo alcuni dal mitraismo, o in ogni caso vi si sovrappone, quell’ostinato concetto di militia Christi, che compare fin dalle epistole di Paolo o da quelle di Clemente, e che non ci aspetteremmo in una religione basata su una predicazione di pace come quella del Vangelo.
In principio il cristiano è miles Christi: lo è costantemente il martire, o “testimone”, nella fase originaria e antiautoritaria del cristianesimo, studiata ed esaltata dalla prima letteratura protestante sui più antichi Acta martyrum, ossia sugli “atti” dei processi intentati dallo Stato romano contro i cristiani. Il cristianesimo “rivoluzionario” dei primi secoli promuoveva una “lotta armata”, pur incruenta, allo Stato, contrapponendo la militanza religiosa (per dio) alla militanza laica (per l’imperatore) e rifiutando la seconda.
È forse la militanza religiosa il vero oggetto della nostra rimozione? Lo spettro di una bellicosità che vogliamo considerare esclusiva di altre fedi? È forse il timore e nello stesso tempo la tentazione di un’idea di fede militarizzata a farci temere di riscoprire Mithra, e con lui una radice del cristianesimo? Il fatto è che gli studiosi sono incerti: potrebbe ben essere stato il mitraismo ad avere assorbito elementi ideologici dei primi cristiani, e ad averli peraltro disinnescati.
Se la militanza del cristianesimo primitivo era eversiva e antistatale, la militanza mitraica era invece lealista all’imperatore. Cosicché il culto di Mithra potrebbe essere stato incoraggiato proprio come risposta alla militia protocristiana. Che rientra infatti nel III secolo, quando la penetrazione della nuova religione tra le élite è ormai compiuta e l’apologetica, a partire da Tertulliano, sigla il grande compromesso tra cristianesimo e Stato romano.
Ed ecco che anche il mitraismo, nella sua accezione originaria, sfuma nel culto orientale del Sol Invictus, assunto a religione ufficiale dagli imperatori: Diocleziano consacra il proprio carisma deo Soli Invicto Mithrae fautori imperii sui. Nel IV secolo, nonostante Costantino, il mitraismo continuerà ad affiancare il cristianesimo quasi come culto gemello, e ancora sotto Giuliano e poi nell’Alessandria del V secolo, capitale delle filosofie, della gnosi e dei sincretismi, le campane di Mithra continueranno a chiamare a raccolta i fedeli insieme a quelle delle chiese cristiane. Ma da questo momento in poi, dall’affermarsi, con i decreti teodosiani, del cristianesimo come religione di stato, l’iniziazione mitraica resterà ancora più sotterranea.
Le rovine dei mitrei, coi loro scheletri incatenati, rivelano la violenza della damnatio di Mithra nel mondo occidentale, ma la sua liturgia rimarrà viva, se pure clandestina, lungo il Medioevo orientale. Tutta la teologia della salvezza, nel mitraismo, è legata a una sapienza zodiacale e a una dottrina dell’ascesa dell’anima che si fonde con quella del neoplatonismo, in particolare nella sua versione romana, attraverso cui i misteri mitraici entrano nel bagaglio esoterico delle accademie platoniche e di qui si trasmettono, via Bisanzio, ai segreti del Rinascimento.
Il revival del mitraismo nelle corti europee influenzerà tra Otto e Novecento la letteratura oltre che gli studi religiosi, dove troverà negli eruditi ecclesiastici, come Alfred Loisy, i suoi grandi divulgatori. Oggi, in un’epoca di nuove guerre, in cui si è estinta la militanza ideologica per le fedi di redenzione terrena, forse il volto del dio rimosso non ha ancora ritrovato la sua luce diretta, la sua immagine frontale, la sua versione concordata fra gli studiosi.
Ma la figura di un miles sacralizzato, iniziatico, in lotta non per un’idea, come nella militanza politica del Novecento, ma contro le forze di un male sempre più astratto e demoniaco, è esaltata dal cinema, dai cartoni, dai fumetti.
Mithra rivive nei supereroi dualisti acquerellati nelle cupe tinte di un postmoderno e grafico crepuscolo mazdèo. Come le vestigia dei mitrei nel sottosuolo di Roma o di Ostia, i residui della più antica e diffusa Religione della Militanza si incidono sguainando le loro armi, volando coi loro mantelli, nel tenebroso underground della cultura pop.

Silvia Ronchey per “la Repubblica”

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