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venerdì 6 gennaio 2017

L’Appia ritrovata


Fa tappa in Campania la mostra fotografica, documentaria e multimediale dal titolo “L’Appia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisi”, una mostra che riscopre e racconta  il percorso della prima grande via europea, da Roma a Brindisi, percorsa a piedi nell'estate 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani e Irene Zambon. 
Inaugurata a Roma nell’Auditorium, la mostra è ospitata nel Museo Archeologico dell’antica Capua fino al 25 marzo 2017, rievocando la prima tappa del percorso della Regina viarum. La via consolare fu il tramite per diffondere i principi della civiltà romana, lo strumento che fisicamente collegò il “centro del Potere” con i luoghi strategici della penisola. Appio Claudio nei cinque anni della sua censura tracciò la via da Roma a Capua per 132 miglia. L’Appia fu la linea lungo la quale marciò il temuto esercito romano, ma anche la via della condivisione, degli scambi culturali, dei traffici. La triste strada lungo la quale giungevano a Capua gli schiavi e i gladiatori, dove i 6.000 compagni di Spartaco vennero crocifissi atrocemente e simbolicamente esposti a mo’ di monito. Il selciato calcato da Paolo di Tarso e dai primi apostoli che, con la loro testimonianza, segneranno la fine dei culti pagani e delle religioni misteriche.
Un ulteriore invito a visitare la mostra è offerto  da una selezione di iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalla città. Tra questi spicca la statua del Trittolemo, l’eroe ateniese che dispenserà il dono dell’agricoltura all’umanità, unico esemplare a tutto tondo finora noto, a  simboleggiare la straordinaria fertilità dell’Ager Campanus.
Paolo Rumiz e compagni hanno intrapreso il loro viaggio - conclusosi il 13 giugno 2015 dopo 611 chilometri, 29 giorni di cammino e circa un milione di passi - con l'idea di tracciare finalmente il percorso integrale della madre di tutte le vie, dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza. L’Appia.
Ora sono essi stessi a raccontare un’avventura che definiscono "magnifica e terribile, terrena e visionaria, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo".
"È compito di ciascuno di noi, come cittadini, - spiegano - restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace - dopo ventitré secoli - di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo. Appia è anche un marchio, un “brand” di formidabile richiamo internazionale. Un portale di meraviglie nascoste decisamente più vario e di gran lunga più antico del Cammino di Santiago.
La mostra ci accompagna sui Colli Albani, sotto i Monti Lepini con le fortezze preromane sugli strapiombi, lungo i boscosi Ausoni che hanno dato all'Italia il nome antico e ai piedi dei cavernosi Aurunci dalle spettacolari fioriture a picco sul mare. Ci guida nella Campania Felix, sui monti del Lupo e del Picchio e gli altri della costellazione sannitica, nell'Italia dimenticata degli Osci, degli Enotri e degli Japigi fino all'Apulia della grande sete.
 In questo itinerario, Paolo Rumiz e compagni non sono stati soli, ma hanno avuto altri compagni d'avventura, da citare in ordine di chilometri percorsi: Marco Ciriello, Sandra Lo Pilato, Michaela Molinari, Mari Moratti, Barsanofio Chiedi, Settimo Cecconi, Giulio e Giuseppe Cederna, Giovanni Iudicone, Franco Perrozzi, Cataldo Popolla, Andrea Goltara e Giuseppe Dodaro,con la partecipazione straordinaria di Vinicio Capossela.
La mostra consente di rivivere questa affascinante riscoperta attraverso le fotografie di Riccardo Carnovalini integrate da un reportage di Antonio Politano realizzato per il National Geographic Italia e da istantanee estratte dai filmati "on the road" di Alessandro Scillitani.
 Nel percorso espositivo, curato da Irene Zambon, con testi e didascalie di Paolo Rumiz, anche  alcune immagini dei viaggi di Luigi Ottani sui confini dei migranti e dei sopralluoghi di Sante Cutecchia sulla Regina Viarum, oltre ai filmati di Alessandro Scillitani e le musiche e le installazioni audio di Alfredo Lacosegliaz. Completano il percorso un apparato cartografico curato da Riccardo Carnovalini e Cesare Tarabocchia e il materiale documentario conservato negli Archivi della Soprintendenza Speciale per il  Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area Archeologica di Roma  - Capo di Bove e della Società Geografica Italiana, come fotografie, cartoline d'epoca, mappe antiche e moderne.
La mostra è  a cura della Regione Campania, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo,  Polo museale della Campania, Scabec Spa, Società Geografica Italiana onlus e Festival della Letteratura di Viaggio. La mostra e le attività connesse, che interesseranno anche ulteriori siti lungo il percorso campano dell'antica Appia,  sono realizzate nell'ambito del progetto "Itinerari culturali e religiosi" programmato e finanziato dalla Regione Campania con fondi POC.

giovedì 1 dicembre 2016

Il culto di Mithra

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Àgnostos theòs, il dio ignoto, il dio sconosciuto. O forse misconosciuto, nascosto, rimosso. Ogni epoca ne ha uno. Il suo volto si cela perché troppo prossimo a un altro, che lo eclissa e lo oscura, come l’altra faccia, non colpita dal sole, di un’erma bifronte. Finché la luce, lentamente, non gira.
Quando ad Atene scoprì l’ara del Dio Ignoto, san Paolo disse: «Quello che adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio» (Atti 17, 23). Rendeva omaggio alla lungimiranza degli ellèni, che avevano presentito il nuovo dio di cui portava il verbo; o forse all’insondabilità del divino, appunto al dio in ombra che cela il suo volto dietro quello del dio maggiore su cui un’epoca dirige il suo sguardo frontale.
Se è vero, come Hillman insegna e già Jung scrive, che gli dèi, oltreché archetipi, sono sintomi, individuare il dio ignoto di un’epoca è salutare per l’anima del mondo. È ciò che il mondo rimuove, prima di ciò che contempla, a definire i contorni sommersi del suo inconscio. Se oggi esiste un dio misconosciuto ai molti, questo è Mithra. Nel revival della storia delle religioni, nel proliferare di libri sui culti orientali o sul paganesimo grecoromano, da anni l’editoria italiana trascura il dio emerso dalla profonda Persia mazdèa, che a sua volta lo importava dall’India vedica.
L’ultimo saggio pubblicato in Italia, che chiarisce genesi e rapporti, è Il culto di Mitra di Julien Ries, uscito da Jaca Book ormai tre anni e mezzo fa, mentre non sono stati ancora tradotti capisaldi come quelli di Franz Cumont.
Ora però alcune uscite imminenti nel mondo anglosassone e germanico (R. Beck — O. Panagiotidou, The Roman Mithras Cult, Bloomsbury Academic; AA.VV., Images of Mithra, Oxford University Press; AA.VV., Entangled Worlds: Religious Confluences between East and West in the Roman Empire, Mohr Siebeck) spezzano il riserbo del mondo cattolico sul culto che gli studiosi tra fine Ottocento e metà Novecento hanno indicato come il più prossimo a quello di Cristo nonché, per almeno due secoli, il suo più diretto rivale.
Come ha scritto Ernest Renan, «se il cristianesimo fosse stato fermato nel suo sviluppo da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico». A lungo, tra i debiti del mistero cristiano verso i culti pagani, quello nei confronti di Mithra è stato considerato il più sorprendente. Le coincidenze sono innumerevoli. Il Natale di Mitra è celebrato il 25 dicembre, al solstizio d’inverno, come si addice a un dio della luce. Il dio nasce in una grotta ed è adorato dai pastori.
Per questo sono detti in latino spelaea, “grotte”, i mitrèi che ancora oggi traforano il sottosuolo delle città romane, coi loro due banchi per i fedeli lungo i lati maggiori, l’altare per il sacro banchetto, gli affreschi catechetici e la grande lastra marmorea coi rilievi misterici, in cui il giovane dio dal mantello svolazzante trapunto di sette stelle uccide con la spada il toro cosmico: è la tauroctonia, che come all’inizio dei tempi si riavrà alla loro fine, quando nell’ora del Secondo Avvento il sangue del toro nuovamente ucciso, mescolato a vino, verrà dato da bere ai giusti e donerà loro vita eterna.
Queste “speranze d’oltretomba”, come le chiamava Cumont, erano il segreto della forza del mitraismo, che prometteva non solo la sopravvivenza dell’anima, ma la resurrezione della carne. Non solo il Primo Giudizio, cui Mithra presiedeva al momento della morte del singolo, poteva farne accogliere l’anima, se meritevole, in paradiso, o altrimenti respingerla alle torture dell’inferno; ma il Giudizio Finale avrebbe risuscitato i morti dalle tombe e tutti avrebbero ripreso le loro sembianze e si sarebbero riconosciuti gli uni con gli altri.
Ma il più importante nucleo del mitraismo in occidente, importato nell’impero romano dalle legioni che i cesari mandavano a combattere e morire sul limes orientale, era l’idea di militia. Nessun culto pagano precedente la esibiva, anche perché nessuno quanto Mithra era stato il dio dei soldati e degli eserciti.
L’iniziato mitraico al terzo grado di ascesa astrale era miles (qualifica tecnica, dopo corvo e crisalide e prima di leone). Il mitraismo esaltava la condizione interiore di militanza, la sacralizzava, e d’altra parte assimilava esteriormente l’esercizio della religione al servizio militare: il nome di sacramentum non era diverso da quello del “giuramento” che come le reclute dell’esercito gli iniziati dovevano prestare per combattere, nel nome del dio invincibile le potenze del male.
Proviene secondo alcuni dal mitraismo, o in ogni caso vi si sovrappone, quell’ostinato concetto di militia Christi, che compare fin dalle epistole di Paolo o da quelle di Clemente, e che non ci aspetteremmo in una religione basata su una predicazione di pace come quella del Vangelo.
In principio il cristiano è miles Christi: lo è costantemente il martire, o “testimone”, nella fase originaria e antiautoritaria del cristianesimo, studiata ed esaltata dalla prima letteratura protestante sui più antichi Acta martyrum, ossia sugli “atti” dei processi intentati dallo Stato romano contro i cristiani. Il cristianesimo “rivoluzionario” dei primi secoli promuoveva una “lotta armata”, pur incruenta, allo Stato, contrapponendo la militanza religiosa (per dio) alla militanza laica (per l’imperatore) e rifiutando la seconda.
È forse la militanza religiosa il vero oggetto della nostra rimozione? Lo spettro di una bellicosità che vogliamo considerare esclusiva di altre fedi? È forse il timore e nello stesso tempo la tentazione di un’idea di fede militarizzata a farci temere di riscoprire Mithra, e con lui una radice del cristianesimo? Il fatto è che gli studiosi sono incerti: potrebbe ben essere stato il mitraismo ad avere assorbito elementi ideologici dei primi cristiani, e ad averli peraltro disinnescati.
Se la militanza del cristianesimo primitivo era eversiva e antistatale, la militanza mitraica era invece lealista all’imperatore. Cosicché il culto di Mithra potrebbe essere stato incoraggiato proprio come risposta alla militia protocristiana. Che rientra infatti nel III secolo, quando la penetrazione della nuova religione tra le élite è ormai compiuta e l’apologetica, a partire da Tertulliano, sigla il grande compromesso tra cristianesimo e Stato romano.
Ed ecco che anche il mitraismo, nella sua accezione originaria, sfuma nel culto orientale del Sol Invictus, assunto a religione ufficiale dagli imperatori: Diocleziano consacra il proprio carisma deo Soli Invicto Mithrae fautori imperii sui. Nel IV secolo, nonostante Costantino, il mitraismo continuerà ad affiancare il cristianesimo quasi come culto gemello, e ancora sotto Giuliano e poi nell’Alessandria del V secolo, capitale delle filosofie, della gnosi e dei sincretismi, le campane di Mithra continueranno a chiamare a raccolta i fedeli insieme a quelle delle chiese cristiane. Ma da questo momento in poi, dall’affermarsi, con i decreti teodosiani, del cristianesimo come religione di stato, l’iniziazione mitraica resterà ancora più sotterranea.
Le rovine dei mitrei, coi loro scheletri incatenati, rivelano la violenza della damnatio di Mithra nel mondo occidentale, ma la sua liturgia rimarrà viva, se pure clandestina, lungo il Medioevo orientale. Tutta la teologia della salvezza, nel mitraismo, è legata a una sapienza zodiacale e a una dottrina dell’ascesa dell’anima che si fonde con quella del neoplatonismo, in particolare nella sua versione romana, attraverso cui i misteri mitraici entrano nel bagaglio esoterico delle accademie platoniche e di qui si trasmettono, via Bisanzio, ai segreti del Rinascimento.
Il revival del mitraismo nelle corti europee influenzerà tra Otto e Novecento la letteratura oltre che gli studi religiosi, dove troverà negli eruditi ecclesiastici, come Alfred Loisy, i suoi grandi divulgatori. Oggi, in un’epoca di nuove guerre, in cui si è estinta la militanza ideologica per le fedi di redenzione terrena, forse il volto del dio rimosso non ha ancora ritrovato la sua luce diretta, la sua immagine frontale, la sua versione concordata fra gli studiosi.
Ma la figura di un miles sacralizzato, iniziatico, in lotta non per un’idea, come nella militanza politica del Novecento, ma contro le forze di un male sempre più astratto e demoniaco, è esaltata dal cinema, dai cartoni, dai fumetti.
Mithra rivive nei supereroi dualisti acquerellati nelle cupe tinte di un postmoderno e grafico crepuscolo mazdèo. Come le vestigia dei mitrei nel sottosuolo di Roma o di Ostia, i residui della più antica e diffusa Religione della Militanza si incidono sguainando le loro armi, volando coi loro mantelli, nel tenebroso underground della cultura pop.

Silvia Ronchey per “la Repubblica”

mercoledì 23 novembre 2016

Giornata contro la violenza sulle donne





Da 17 anni il 25 novembre è la Giornata dedicata all’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne. Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni unite che ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. La ricorrenza del 25 novembre fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.
Una Giornata, quindi, che servirà per far prendere coscienza, a più persone possibili, della violenza che si perpetua contro il genere femminile, ogni giorno, in ogni società e in ogni Stato. Non solo sensibilizzazione quindi ma anche volontà di attribuire massima visibilità ad un argomento che per anni ha rappresentato un vero tabù. Valicare i confini delle “faccende private”, fatti di abusi fisici e psicologici, per inquadrare la violenza di genere come un crimine di cui avere una reale coscienza. Con questi presupposti l’amministrazione comunale di Santa Maria Capua Vetere guidata dal sindaco Antonio Mirra, in sinergia con la Cooperativa Eva, l’Isola di Arturo e le istituzioni scolastiche della città, ha organizzato una giornata di incontri, dibattiti, convegni e tanta cultura. L’appuntamento è previsto per venerdì 25 novembre presso il Teatro Garibaldi la cui facciata, per l’occasione, sarà illuminata di arancione (colore simbolo scelto dall’Onu per un futuro senza violenza). Per l’evento, a livello cittadino, si è scelto come titolo “Le farfalle tornano a volare” per ricordare il nome in codice (Mariposas, appunto farfalle) che le sorelle Mirabal usarono durante l’opposizione al regime di Trujillo.
“Con grande attenzione al tema abbiamo deciso di organizzare, nei dettagli, una giornata dedicata sia alla prevenzione che alla sensibilizzazione. Per questo - hanno dichiarato il sindaco Antonio Mirra e l’assessore alle Pari opportunità Rosida Baia - ci siamo rivolti principalmente alle scuole cittadine, che hanno partecipato con estremo entusiasmo, affinché, parallelamente al quotidiano lavoro che svolgono le famiglie di tutti i ragazzi, da un lato le giovani studentesse vengano educate a “riconoscere” la violenza e, dall’altro, ai giovani venga impartita la cultura del rispetto. Prevenzione quindi ma anche sensibilizzazione, attraverso racconto ed esibizioni artistiche, perché l’intera cittadinanza deve aprire gli occhi su quella che risulta essere a tutti gli effetti una piaga sociale”.

IL PROGRAMMA - Teatro Garibaldi

Ore 9.00 - 13.00
Saluti del sindaco di Santa Maria Capua Vetere Antonio Mirra
Intervento di Francesco Orlando - L’Isola di Arturo Onlus
Intervento di Emanuela Bove - Centro antiviolenza Aradia/Coop EVA
Declamazione di poesie con coreografie ed opere pittoriche a cura degli alunni della scuola media ‘Carlo Gallozzi’
Esibizione artistica a cura degli alunni della scuola media ‘Alessio Simmaco Mazzocchi’ - Canzone ballata di Fiorella Mannoia ‘Quello che le donne non dicono’, poesie e riflessioni sul tema
Brano musicale composto da Enzo Gragnaniello per Mia Martini dal titolo ‘Donna’, eseguito dagli alunni della scuola media ‘Raffaele Uccella’ con l’accompagnamento dell’orchestra composta dagli studenti
Recitazioni ed estemporanea di pittura con sottofondo musicale dal titolo ‘Gli uomini contro la violenza sulle donne’ a cura degli alunni del Liceo Classico ‘Cneo Nevio’
‘Lettere persiane di Montesquieu’ - ‘Le lettres Persanes: lettera CLXI di Roxanne e Usbek’: recitazione e ballo a cura degli alunni del Liceo Linguistico
Cortometraggio dal titolo ‘Le rose di cui non vedevo le spine’ e dipinti su tela a cura degli alunni del Liceo Artistico
‘Malamore’: video realizzato a cura degli alunni del Liceo Scientifico
‘Il mostro dorme accanto a te!’: cortometraggio a cura degli alunni dell’Istituto Tecnico Geometri
Ore 19.30
Intervento di Francesco Orlando - L’Isola di Arturo Onlus
Estratto dello spettacolo ‘Impulso Movente’ messo in scena dalla compagnia ’The Event DanceArtFactory’ con la collaborazione del ‘DramaLab’. Coreografie di Rossana Merola e Salvatore Affinito, regia di Rosario Copioso
‘La busta cilestrina’, liberamente tratto da uno studio su Luigi Pirandello ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ adattamento a cura di Antonella Rossetti con Germana Saccardi e Antonella Rossetti. Regia di Antonella Rossetti. Interventi musicali a cura di Luciano Spinelli, flautista.
Presenti in sala dipinti di Teresa De Cristofaro
Concerto musicale a cura della band ‘0823’
Presenta Luigi Cinone


martedì 1 novembre 2016

Teatro Garibaldi. Santa Maria Capua Vetere cartellone 2016/17





Isa Danieli che inaugurerà la stagione il prossimo 4 novembre con l’opera “Serata d’amore”,
Vincenzo Salemme in “Una festa esagerata” (19 novembre),
Rocco Papaleo e Giovanni Esposito in “Buena onda” (14 dicembre),
Peppe Barra in “La cantata dei pastori” (21 gennaio 2017),
 Federico Salvatore in “Sono apparso a San Gennaro” (4 febbraio),
Biagio Izzo in “Bello di papà” (14 febbraio),
Massimo Ranieri in “Teatro del porto” (20 febbraio),
Serena Autieri in “Diana e Lady D” (17 marzo),
 Ascanio Celestini e Gianluca Casadei in “Laika” (25 marzo).

“Al tradizionale cartellone, per il quale si è deciso di puntare sulla qualità degli artisti che andranno in scena – ha dichiarato il sindaco Antonio Mirra – abbiamo rilanciato dopo tanti anni il “Teatro Ragazzi”. Una rassegna dedicata esclusivamente alle generazioni del domani e che vedrà la partecipazione dei bambini delle scuole elementari sammaritane ai quattro appuntamenti mattutini, a loro specificamente destinato, della rassegna teatrale 2016/17. Si tratta di un ulteriore piccolo passo finalizzato a favorire la proposta culturale tra i cittadini del futuro”. Il programma del “Teatro Ragazzi”, che rientra nella rassegna “Primi Applausi”, prevede l’allestimento di due rappresentazioni (articolate in quattro giorni) consigliate ad un pubblico di età compresa tra i 6 ed i 10 anni.
 Il cartellone dedicato propone:
 “Il piccolo principe” (6/7 dicembre 2016) e “Il tenace soldatino di piombo” (febbraio 2017).
 I seguenti spettacoli andranno in scena di mattina. Le rappresentazioni previste invece dal programma tradizionale avranno inizio alle ore 21.00 nei giorni feriali e alle ore 18.30 nei giorni festivi. Per info e costi è possibile consultare la sezione dedicata sul sito istituzionale del Comune.

sabato 1 ottobre 2016

Edizioni Spartaco

S. Maria CV (ce) via Martucci



L’editore è un artigiano delle parole. A lui tocca scegliere la materia prima e trasformare una bozza in libro. Pubblicare libri impone delle responsabilità: verso l’autore, il quale dona la parte più intima di sé a chi lo legge ed è importante che siano in tanti a farlo; verso il lettore, che merita il cibo più nutriente per la sua mente e il suo spirito. Pubblicare libri risponde all’esigenza più profonda di condividere pensieri, sentimenti, soprattutto idee, ed è senza dubbio un bel mestiere perché frequentare scrittori del passato e del presente, frequentare la letteratura quotidianamente aiuta a capire come gira il mondo, molto più di quanto non faccia l’aggiornarsi sui fatti di cronaca.
Edizioni Spartaco è nata nel 1995 a Santa Maria Capua Vetere: l’avventura è cominciata con quella che per decenni è stata l’unica guida della città, nonostante il formato sia diventato tascabile e il prezzo più economico. Dal 2003 ha solcato il mare della distribuzione nazionale, un oceano irto di insidie, infestato dai mostri sacri dell’editoria, bastimenti più forti economicamente e più potenti per tradizione e autorevolezza presso i media, capaci di pubblicare opere immortali oppure di scivolare sull’acqua con leggeri bestseller dalla vita intensa ma breve. Una piccola casa editrice, una casa editrice del Sud, una casa editrice di Terra di Lavoro (e nemmeno di Caserta centro) deve avere più coraggio: come il capitano MacWhirr di Conrad, deve affrontare il tifone che le fa sfiorare il baratro ogni volta, deve tenere duro e andare avanti. Anzi, non deve, il bello sta nella sfida, nello scegliere di ritagliarsi uno spazio di libertà, complici gli autori che meglio e con più efficacia riescono a raccontare, a dire, a comunicare. E non ti va di fallire un progetto così bello, perché “incominciando col gustare un po’ di libertà, si finisce per volerla tutta”. Lo ha detto Errico Malatesta, anche lui nato a Santa Maria Capua Vetere. Edizioni Spartaco, di Malatesta, ha pubblicato l’Autobiografia mai scritta. Ricordi (1853-1932), a cura di Piero Brunello e Pietro Di Paola, edito anche in Germania dalla casa editrice Nautilus Frug Schrift, alla quale sono stati venduti i diritti.

sabato 3 settembre 2016

Street Food Festival



Il 10 e l'11 Settembre, presso la Villa Comunale di Santa Maria Capua Vetere, si terrà la seconda edizione dello Street Food Festival.
L'associazione I Love SMCV trasformerà la città nel fulcro della buona cucina e del divertimento.

  • 10 Settembre - Direttamente dal palcoscenico di Made in Sud, i comici Gigi e Ross e Paolo Caiazzo.
  • 11 Settembre - Da non perdere l'appuntamento con il comico Biagio Izzo
Ingresso Libero.

ATTENZIONE 
causa previsioni meteo l'evento è stato posticipato a
 sabato 24 e domenica 25 settembre 2016

giovedì 4 agosto 2016

Il Satiro in riposo



Il Satiro in riposo di Prassitele: una nuova replica dall'antica Capua (Santa Maria Capua Vetere) di Prassitele: una nuova replica dall'antica Capua    

Nell'autunno del 2002  il sottosuolo di Santa Maria Capua Vetere, così generoso nella restituzione delle testimonianze della lunghissima vita dell'antica Capua, ha permesso di recuperare una replica in marmo, pressoché completa della statua del Satiro in riposo, il cui prototipo viene concordemente attribuito a Prassitele: un'altra attestazione dell'alto livello di vita di quella città che per lunghi secoli, e fino alla tarda antichità, mantenne un ruolo primario nell'economia e nella vita culturale della Campania.
Grazie a questa statua esposta ora nel museo di S. Maria C.V. la citttà potrà riconoscere anche attraverso un'opera in marmo uno dei segni dell'attività artistica fiorente nel lunghissimo periodo romano, dopo che le sculture a figura intera rinvenute nel XX secolo le sono state sottratte con furti e quelle recuperate prima erano state portate a Napoli fin dagli inizi del XIX secolo, o per altre vie, erano finite all'estero in Musei e Collezioni.